“La storia di Teresa” (terza e ultima parte) di Elena Canepa e Laura Canepa

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“La storia di Teresa” (prima parte) di Elena Canepa e Laura Canepa

“La storia di Teresa” (seconda parte) di Elena Canepa e Laura Canepa

Né la madre né la figlia, però, riuscirono a scegliere quella soluzione: Teresa avrebbe avuto quel bambino.

Emilia raccontò alla gente del paese che Teresa era partita per sposare un certo Antonio che era in guerra, ma aveva avuto un congedo speciale per maritarsi. Si sarebbero incontrati in un paesino del nord Italia.

«Nessuno crederà mai a questa storia» fece Teresa alla madre.

«Non importa, figliola, non possiamo raccontare la verità. Anche in tempo di guerra la gente ha la lingua lunga» rispose la madre.

I mesi passarono e Teresa, in procinto di partorire, discusse con la madre riguardo al chiamare o meno un medico in casa. La madre fu assolutamente contraria e si occupò di far nascere il piccolo che, per fortuna, venne alla luce senza complicazioni. Era un maschietto che Teresa volle chiamare Giuseppe come l’adorato padre.

Il bimbo trascorse i primi mesi della sua vita in casa, tra le cure della madre e della nonna. Riuscire a sfamare il piccolo comportava grossi sacrifici da parte delle due donne che, molto spesso, erano costrette a privarsi di tutto, anche di un tozzo di pane. Nelle fredde sere d’inverno era difficile persino trovare qualche ceppo di legna per scaldare l’ambiente.

«Mamma, il piccolo Giuseppe piange. Non so più che fare e i vicini lo sentiranno» disse una sera Teresa disperata.

«Lo hai allattato?» chiese la donna preoccupata.

«Si mamma, ma non ho più latte. Se continuerò a mangiare così poco, presto smetterò di averne» rispose amaramente la giovane.

Emilia guardò la figlia sconsolata, non avevano nessun risparmio da parte e l’affitto della casa portava via la maggior parte dei guadagni.

«Non c’è altro da fare» disse un giorno la madre con sguardo grave.

«Cosa?» chiese la figlia.

«Devo vendere la fede nuziale che mi regalò tuo padre».

«No, mamma! Non lo puoi fare! È l’unica cosa che ti resta di lui» disse Teresa con le lacrime.

«Teresa cara, resti tu a ricordarmi del tuo povero padre, avete gli stessi occhi» affermò commossa la madre «e sono sicura che tuo padre vorrebbe questo: non sarà molto, ma ci aiuterà a tirare avanti per un po’».

Il giorno seguente Emilia uscì di casa presto e si recò dall’unico gioielliere rimasto in paese per vendere il suo oro.

«Signora, sa che dovrei consegnare la sua fede alle autorità?» disse il gioielliere.

«E perché mai?» chiese sconcertata la donna.

«Perché il popolo italiano ne ha bisogno!» sentenziò spavaldo l’uomo. La donna, inorridita, spiegò la situazione al gioielliere che, però, non voleva sentir ragioni.

Improvvisamente, sbucò dal retro bottega un’altra donna. Doveva essere la moglie del gioielliere che si avvicinò all’uomo dicendo: «Francesco, aiuta questa povera signora. Sai che quel fascista intasca tutto l’oro che gli consegni. Non verrà mai a sapere di questa fede».

Il gerarca fascista in questione era un tal Siffredo che aveva il compito di amministrare la frazione di Prà. Tra le varie angherie che perpetuava ce n’era una particolarmente odiosa e nota a molti: raccoglieva le fedi nuziali con la scusa di destinarle alla causa fascista, ma in realtà riempiva la sua dimora di preziosi ninnoli. Con la fine del fascismo, il malcontento popolare e la paura di ritorsioni lo costrinsero a scappare lontano. La sua casa venne perquisita e si scoprì che le tende alle sue finestre erano sorrette da una lunga fila di fedi nuziali.

Quindi, già prima che la ruberia venisse scoperta, la dolce moglie del gioielliere sapeva bene quel che diceva quando discusse con il marito per aiutare la povera Emilia.

Il gioielliere e sua moglie stettero un po’ a battibeccare, ma la donna alla fine riuscì a spuntarla. Rivolse un sorriso ad Emilia e tornò nel retro bottega.

L’uomo pesò la fede e pagò una somma adeguata: Emilia se ne andò riconoscente.

Dopo un po’ di tempo, Teresa decise di uscire: non poteva più fare la reclusa tra quelle mura. In paese raccontò di essere tornata dopo la morte del marito e di aver dato alla luce un bel maschietto.

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All’anagrafe, durante il conflitto, la maggior parte dei documenti andarono distrutti e così, finita la guerra, raccontò all’impiegato la stessa versione dei fatti e il bambino fu legalmente registrato come orfano di padre.

Il piccolo Giuseppe era un bambino dagli occhi vispi e curiosi. Teresa ed Emilia impararono ad amarlo cercando di dimenticare il modo in cui era stato concepito.

La ripresa nel dopoguerra fu lenta e faticosa ma con caparbietà e decisione, Teresa riuscì ad aprire un vero negozio di sartoria. Riuscì anche a trovare marito, un certo Umberto, col quale ebbe altri due figli.

La guerra e quella brutta esperienza l’avevano cambiata, com’era successo a tutti, lasciando incubi indelebili nella sua mente che spesso tornavano a tormentarla. La forza, però, non l’abbandonò mai e la aiutò a non abbattersi e ad andare avanti a testa alta.

Immagine di mskathrynne da Pixabay

La storia di Teresa: Copyright © Elena Canepa e Laura Canepa – Tutti i diritti riservati

 

21 risposte a "“La storia di Teresa” (terza e ultima parte) di Elena Canepa e Laura Canepa"

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