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Fall in Brooklyn (parte 1)

«Sveglia, signorina, oggi è il gran giorno!»
«Hmm… il gran giorno? Che mi sono persa?»
«Oh, Trisha, tesoro! È il mio primo giorno di lavoro alla tavola calda! Non vuoi farmi gli auguri?»
Mi stropiccio gli occhi e quasi mi faccio male. Dannazione, mi ero quasi dimenticata che mia madre ha trovato un posto come cameriera al Red Clay, ne parla da giorni. La osservo, è sorridente, non la vedo così da tempo. Spero soltanto non si tratti dell’ennesima delusione nella sua vita.
Apro la bocca per dire qualcosa, ma non faccio in tempo che comincia a ricordarmi la lista di debiti che deve saldare non appena le daranno l’anticipo.
«E prometto che ti restituirò l’intera somma, tesoro. Se non fosse stato per te, a quest’ora ci saremmo ritrovate in mezzo a una strada.»
«Avremmo trovato una soluzione come sempre, mamma» rispondo con tranquillità. «Non voglio indietro nulla, l’ho fatto per noi, te l’ho già detto.»
«Trisha, tesoro, non ammetto repliche, sono tua madre e sono io che mi devo occupare di te, non il contrario.»
Sollevo gli occhi verso il soffitto: non voglio ferire l’orgoglio di mia madre, ma davvero non mi importa di quei soldi. Abbiamo passato momenti davvero difficili da quando siamo sole e il mio piccolo impiego alla biblioteca della scuola è servito a pagare le incombenze, ma ci serviva proprio una fonte di entrate maggiore. Il vecchio capo di mia madre aveva cominciato ad allungarle le mani sotto la gonna e lei si era licenziata dallo Sneak & Dawdle.
Non l’ho mai biasimata per questo: Nash è un vecchio porco e per quanto i soldi ci servano, non voglio che lei debba subire certi trattamenti.
Mi alzo e rovisto nell’armadio alla ricerca di una maglietta e di un paio di pantaloni, poi la seguo giù per le scale e annuso il dolce profumo della colazione: mia madre è davvero una cuoca eccezionale e non stento a credere che l’abbiano presa al Red Clay.
Mi siedo al mio posto afferrando un muffin. Lo addento con la voracità che mi contraddistingue e mi torna in mente la serata scorsa. Non fatico a capire perché mi sono dimenticata del nuovo impiego di mia madre: ci sono andata giù pesante con gli alcolici, ma lei non deve saperne nulla. E poi, ho pieno controllo di me stessa, la farei soltanto preoccupare inutilmente.
Le do un bacio frettoloso e le auguro una felice giornata mentre oltrepasso la porta e mi sento urlare di stare attenta e che mi vuole bene.
Sorrido.
Per mia madre non è stato facile niente, ma non mi ha mai fatto sentire la mancanza di nulla, nemmeno di mio padre. Si è fatta in quattro per ricoprire anche quel ruolo e devo dire che le è riuscito bene. I suoi nervi non hanno ceduto nemmeno quando ha scoperto che lui si è rifatto una vita, con una nuova donna e che hanno avuto dei figli: adesso dovrei aver raggiunto quota due fratelli, o fratellastri, non so come dovrei definirli. Se devo essere sincera, non mi importa e non sono curiosa di conoscerli, sebbene mio padre mi abbia invitata più volte nella loro villetta sull’oceano. Una moglie degli Hamptons, che salto di qualità! Ma chissà se lei sa che il suo caro marito non ci passa gli alimenti.
Saluto Liberty e Chase che stanno agitando le mani nella mia direzione e mi avvicino appena in tempo per salire sull’autobus che chiude la porta alle mie spalle.
«Ehi, Trisha, come stai?» Chase mi studia con espressione incuriosita.
«Chase, che diavolo hai da guardare in quel modo?» rido, osservando l’autobus ancora semivuoto.
«Tutti quei Margarita ieri sera… mi domandavo se saresti venuta a scuola questa mattina.»
«Ho mai saltato un giorno di scuola a causa di una bevuta?»
«Una bevuta? Trisha, forse non ti sei resa conto di quante “bevute” ti sei fatta.» Liberty interviene guardandomi di sbieco. «Ti abbiamo riportata a casa mentre cantavi Sweet Home Alabama a squarciagola.»
Non riesco a trattenere una risata anche se le loro espressioni sono serie e mi faccio seria anche io. «Davvero cantavo quella cosa?»
«I miss Alabamy once again and I think it’s a sin, yes» intona Chase mentre io e Liberty cominciamo a ridere di gusto.
«Oh, mio Dio. Non ricordo nulla!» mi sfioro la fronte con il dorso della mano.
«Quindi non ricordi nemmeno di aver baciato Desmond Walker?»
Mi blocco e lancio un’occhiata a Chase che dopo avermi posto la domanda, mi guarda divertito. «Desmond Walker? Quello che se ne va in giro alle feste con gli improbabili occhialini da piscina piantati sulla fronte?»
I due annuiscono trattenendo un sorriso.
«Desmond Walker… dovevo essere proprio in condizioni pessime, perché non mi avete fermata?» esclamo passandomi più volte la mano sulle labbra per cancellare quella sgradevole sensazione.
«Non ti preoccupare, piccola, ti stiamo solo prendendo in giro, non sei arrivata a… quello» dice Chase dandomi un buffetto sulla guancia.
«Che stronzi!» sbotto corrugando la fronte con un misto di sollievo.
Camminiamo verso l’ingresso della scuola dove ci attendono i soliti sguardi degli altri studenti.  Alla Stuyvesant non è difficile passare inosservati, ma non è il nostro caso: spesso sembriamo essere oggetto di chiacchiere, ma la cosa non mi ha mai importato più del dovuto.
Stringo i miei libri di fisica e chimica fra le mani e per un attimo fisso l’attenzione sulle foglie degli alberi che circondano l’edificio. Quei colori autunnali sono affascinanti e lasciano ai nostri piedi un tappeto di foglie secche che è difficile non notare.
Qualcosa mi riporta alla realtà e in un attimo mi ritrovo a terra a osservare più da vicino quello spettacolo autunnale. Prima di realizzare il perché fossi finita sdraiata a terra, tasto qualcosa di fianco a me e mi libero della fastidiosa presenza di uno dei miei libri piantato contro la schiena.
«Ehi, stai più attenta la prossima volta, eri nella mia traiettoria!»
Mi volto di scatto verso quella voce e riconosco Asher Hicks che mi tende la mano. La afferro con una certa riluttanza e vengo rimessa in piedi talmente in fretta che faccio quasi fatica a mantenermi in equilibrio. Mi guardo intorno e cerco di ricostruire la dinamica: mi accorgo dei suoi amici sul lato opposto del cortile e di lui che stringe fra le mani la palla ovale da rugby.
«Quindi sarebbe colpa mia?» riesco a dire mentre mi ripulisco i vestiti dalle foglie e osservo le mie parti doloranti.
«Temo nessuno ci abbia mai presentati; sono…»
«So chi sei» dico io con un tono più ostile di quanto fosse mia intenzione.
Asher Hicks, infatti, sembra colpito da quella mia reazione, ma come biasimarmi? Sono finita a terra e avrei potuto rompermi qualche osso, visto che a buttarmici è stato un giocatore di rugby ben piazzato come lui.
«Era una battuta, non avevo intenzione di offenderti.»
«Beh, da quando in qua è permesso giocare a rugby in cortile? La nostra scuola dispone di un grosso campo nel quale allenarsi» continuo io, sempre in quel tono ostile. Ma che mi prende? Asher sembra risentito e in fondo lo capisco: nel cortile c’è il silenzio più assoluto e abbiamo attirato l’attenzione di tutti i presenti.
«Non mi pare il caso di farne una questione di stato» riprende lui con tono meno amichevole. «Ti chiedo scusa, non accadrà più.» Fa segno agli amici di seguirlo e il gruppo si allontana verso l’ingresso.
Rimango lì, immobile, osservandoli e continuo a sentirmi gli occhi di tutti puntati addosso. Mi rendo conto di essere stata brusca, forse sono gli effetti del dopo sbornia, ma non sono forse io quella che è finita a terra?.
«Ehi, ma che ti è preso, Trisha?» mi domanda Liberty avvicinandosi. «Non è da te essere così stronza, con Asher Hicks, poi.»
Mi stringo nelle spalle e cerco aiuto nello sguardo di Chase che sembra però pensarla come Liberty.
«Non lo so che mi è preso, ragazzi» azzardo. «So solo che ho fatto la figura della stronza davanti a tutti. Forse è meglio limitare le nostre serate alcoliche o potrei perdere la testa.»
Sembro convincere i miei amici con questo tentativo di sdrammatizzare e ci avviciniamo anche noi all’ingresso della scuola.

CONTINUA, PROSSIMAMENTE…

(Lasciate un commento per farci sapere se la storia vi potrebbe piacere, questa prima parte è stata scritta di getto😉)

Elena e Laura

Fall in Brooklyn: Copyright © 2021 Elena e Laura Canepa – Tutti i diritti riservati

21 risposte a "Fall in Brooklyn (parte 1)"

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  1. Io credevo di detestare gli young adult, molti anni fa, poi però ho adorato Gossip Girl della Ziegesar e ho letto felice almeno i primi 6 episodi!
    Difficoltà grossa sarebbe non parlare solo di ormoni, amore, adolescenza e cose così, ma riuscire a far passare problematiche relative alla “libertà”, alle classi sociali, ai “massimi sistemi” (democrazia/tirannia, giustizia/legge ecc. ecc.) in consustanzialità con gli ormoni e la vicenda senza rendere il tutto didascalico…

    Piace a 1 persona

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