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“Roma e congiure” (terza e ultima parte) di Elena e Laura Canepa

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Roma e congiure (prima parte) di Elena e Laura Canepa

Roma e congiure (seconda parte) di Elena e Laura Canepa

Ad un tratto vide entrare un ragazzetto che non parlò con nessuno, ma si avvicinò all’anfora del vino. Poi, silenzioso come era entrato, se ne andò. Zenobia insospettita andò a verificare. «Ecco! È stata aperta! Quest’anfora di pregiato Falerno è arrivata poco fa. Prima era sigillata, ne sono certa.»

Alla tredicesima ora tutti gli invitati erano arrivati nel triclinium ed era iniziata la festa.
Zenobia sbirciò da dietro una tenda, ma subito una guardia la spinse in malo modo intimandole di stare lontano da quel luogo. Fortunatamente, la giovane riuscì a vedere il malvagio senatore. Dietro di lui c’era il ragazzetto entrato furtivamente in cucina, evidentemente suo schiavo.

Dopo pochi minuti venne portato il vino e fu servito all’imperatore. Zenobia doveva tentare, quindi si fece coraggio. «Spes ultima Dea» sussurrò e si lanciò nel triclinium.

«Caesar! Attento! Quel vino…» urlò Zenobia.
Le guardie le furono subito addosso. Un colpo alle costole la fece rimanere senza fiato e, con le lacrime agli occhi, venne sollevata di peso per essere portata fuori dove l’attendevano altre percosse.

«Fermi!» intimò l’imperatore. «Fatela parlare, deve avere qualcosa di davvero importante da dirmi per rischiare così tanto.»
Zenobia venne messa a terra in ginocchio e l’imperatore le disse: «Avanti, parla».

La donna iniziò un po’ scossa, poi le parole sgorgarono liberamente; descrisse il suo mestiere e raccontò dell’uomo che le aveva chiesto un veleno e dello scambio tra i due cospiratori.

«Dimmi il nome di questo traditore» incalzò l’imperatore.

La giovane seppe che il momento cruciale era arrivato e, senza proferir parola, indicò l’assassino di suo marito.

Il senatore, accusato, ignorò le parole della donna con un’alzata di spalle e disse soltanto: «É una stupida pazza, una strega che vende inutili malefici».

L’imperatore, però, non la pensava così; quella donna gli sembrava sincera. «Hai prove di quello che dici?»
Zenobia sospirò sconsolata poiché non aveva nulla a parte la sua testimonianza.

In quel momento un invitato intervenne. «Ma se tutta l’anfora è stata avvelenata, allora anche noi siamo in pericolo!»
I presenti iniziarono a protestare.
L’imperatore li fece tacere e poi disse: «Bene, senatore Lucio. Se questa donna mente, provacelo. Sii il primo ad assaggiare questo pregiato Falerno».
Il senatore impallidì. «Tu mi umili, Caesar! Credi davvero che potrei ordire una cosa del genere?»

«Non importa cosa credo, sono il tuo imperatore e ti ordino di bere.»

A Roma era meglio morire piuttosto che disonorarsi tentando la fuga, quindi il senatore non poté far altro che prendere la coppa dalla mano dell’imperatore e bere. Cominciò a tossire e le vene del collo diventarono gonfie nello sforzo di respirare.
Il senatore serrò le mani attorno alla gola e cadde a terra con la schiuma alla bocca. In pochi attimi cessò di respirare.

Gli invitati erano senza parole, ma soddisfatti che la giustizia avesse punito quell’uomo.
L’unica a parlare fu Zenobia. «Caesar, quell’uomo non è il solo ad aver cospirato contro di te. L’uomo che ha acquistato il veleno è suo complice.»

L’imperatore la guardò grato. «Potresti riconoscere l’altro uomo?»
Zenobia, nuovamente, alzò il dito per indicare Augusto, l’uomo che era entrato nella taberna della maga.
L’imperatore decretò che anche lui avrebbe dovuto subire la stessa sorte del senatore: Augusto vuotò d’un sorso il calice di vino e dopo qualche istante spirò.

«Bene donna, hai avuto coraggio e hai rischiato la tua vita per salvare la mia» disse l’imperatore a Zenobia «e io ti ricompenserò con una nuova vita.»

Passarono pochi giorni e Zenobia ricevette una convocazione dall’imperatore. All’ora quarta si trovava nel triclinium della domus e di lì a poco il Caesar arrivò ridendo assieme a un uomo. «Questo è Aulo Tiburzio, un mio ottimo primus pilus, è appena stato congedato e ha ricevuto terre e possedimenti fuori Roma.»

Zenobia era perplessa, non capiva ancora il motivo di quella convocazione, ma l’imperatore svelò presto il mistero. «Ho deciso che sarai un’ottima moglie per lui.»
A quelle parole, Zenobia disse: «Ma io… non ho nulla, non ho una dote».
L’imperatore la zittì subito. «Penserò io alla tua dote.» Poi aggiunse, rivolto ad Aulo Tiburzio, «che ne dici, amico, ti bastano cento aurei?»
Quest’ultimo strabuzzò gli occhi, poi si ricompose. «Il tuo favore, Caesar, è una dote più che sufficiente.»
L’imperatore rise e dichiarò concluso l’accordo.

Dopo pochi giorni l’unione fu suggellata e Zenobia iniziò una nuova vita felice accanto ad Aulo Tiburzio.
Ebe entrò a far parte delle cuoche dell’imperatore, mentre Corellia diventò la guaritrice della domus imperiale.

Zenobia era grata agli dèi: giustizia era stata fatta.

Iustitia in se virtutem complectitur omnem (Erasmo)

La giustizia contiene in sé tutte le virtù.

Immagine di Evren Ozdemir da Pixabay

Roma e congiure: Copyright © Elena Canepa e Laura Canepa – Tutti i diritti riservati

30 risposte a "“Roma e congiure” (terza e ultima parte) di Elena e Laura Canepa"

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  1. Per non perdere il filo ho riletto tutto dall’inizio (anche la prima è la seconda parte) ed il racconto è davvero molto avvincente. Ogni vostro racconto è scritto davvero benissimo: sarebbe bellissimo che anche tutti i vostri racconti possano diventare presto un libro (tipo raccolta di racconti), perché avete davvero un grandissimo talento, 👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏

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  2. Bravissime, complimenti! Non deve essere semplice ambientare una vicenda in un’epoca lontana… Zenobia è stata audace, ma questa sua audacia le ha garantito un premio importante; ma soprattutto ha fatto condannare i veri colpevoli con delle astuzie. 😉

    Piace a 2 people

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