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“Roma e congiure” (prima parte) di Elena e Laura Canepa

Roma, anno 826 ab Urbe condita
Vigilia delle Calende di giugno

Il carnifex sbatté le palpebre e poi, con un unico colpo, staccò la testa all’uomo inginocchiato a terra. Dalla folla si sollevarono delle grida e dei risolini: le esecuzioni capitali erano da sempre uno spettacolo.
Solo una donna, tra le prime file, versava lacrime amare. Zenobia aveva amato profondamente suo marito Cassio. Lo aveva seguito nella folle idea di trasferirsi a Roma per fare il falegname, lasciando la loro amata Capua.

Pochi giorni prima, le guardie civili si erano presentate alla porta dei due coniugi, portando via l’uomo con l’accusa di omicidio. Il vero responsabile, un senatore, denunciò il primo malcapitato che vide: quel poveretto era Cassio che non poté difendersi. La parola del senatore valeva molto più della sua.

Ben presto, il proprietario della bottega che avevano preso in affitto buttò fuori Zenobia; ella, infatti, non poteva pagare il canone pattuito.

«Domine! Abbi compassione di me! Non so dove andare, dammi almeno il tempo di sistemarmi!» A nulla valsero le preghiere della donna, che venne percossa e allontanata. Così Zenobia perse anche la sua dimora che, come era uso a quel tempo, si trovava nel soppalco della bottega.

Alla giovane restavano solo quaranta assi con i quali avrebbe vissuto ben poco.

Iniziò a girovagare per l’Urbe e si ritrovò nei pressi di un lupanare dal quale provenivano grasse risate. Zenobia, per un attimo, pensò di entrare: offrendosi come lupa avrebbe ottenuto un alloggio certo e del denaro. Immediatamente, però, scacciò l’idea di vendere il suo corpo, ripensando al povero marito e a quel poco di dignità che ancora conservava.

Continuando a camminare, arrivò di fronte ad un’insula: i piani alti in parte carbonizzati e un degrado generale le conferivano un aspetto orribile. Le balzò in mente un’idea e quindi si concentrò per ascoltare i discorsi delle pettegole lì intorno: «È colpa di quell’ubriacone di Sulpicio! È caduto sul braciere e ha appiccato il fuoco alla sua stanza, poi il rogo è divampato» disse una donna all’amica che replicò: «E nessuno ha chiamato i vigiles?». La prima rispose ridendo: «Sono arrivati dopo mezz’ora, saranno stati in qualche lupanare!» e sghignazzarono entrambe. Altrove Zenobia comprese che il colpevole era davvero Sulpicio, il quale era morto nell’incendio e i vigiles erano arrivati tardi. Nessuno li aveva chiamati. Poco più avanti scoprì che il fuoco era stato appiccato volontariamente per radere al suolo l’insula e far spazio alla domus di qualche ricco patrizio: ciò spiegava perché i vigiles non erano stati chiamati.

Queste congetture a Zenobia non interessavano, lei vedeva in quel disastro una possibilità: cenacula ad un affitto molto basso. Decise allora di entrare nell’insula e attese nell’oscurità l’occasione giusta che non si fece attendere troppo: una donna dalla pelle olivastra, straniera come Zenobia, varcò la soglia.

«Amica, sono in difficoltà: ho bisogno di aiuto, ho perso tutto. Tu abiti qui?» chiese speranzosa Zenobia.

«Sì» rispose la donna «Cosa ti serve?». Zenobia continuò. «Ho bisogno di un letto per dormire.»
Ebe, così si chiamava la donna, le disse: «Se hai i soldi per pagare, posso trovarti uno spazio nel cenacula che divido con altre donne».
Zenobia esultò dentro di sé. «Sì, possiedo qualche moneta. Ho intenzione di trovare un lavoro al più presto.»

Mentre Ebe la conduceva al cenacula, le due donne si raccontarono in breve le loro vite. Ebe lavorava in una fullonica ed era figlia di una lupa, ma del padre non sapeva nulla. Ci scherzò su: «Mater semper certa, pater semper incertus… sono nella stessa situazione di tanti altri». Poi esclamò: «Se vuoi posso parlare di te alla fullonica! C’è sempre qualcuna che abbandona perché non sopporta di sguazzare nell’orina, ma non ti assicuro nulla». L’altra accettò riconoscente il tentativo di aiuto.

Era ormai l’ora nona e Zenobia, accompagnata da Ebe, decise di andare a fare un bagno. Si diressero verso le terme di Agrippa; l’ingresso costava solo un quarto di asse. Raggiunsero la zona dedicata alle donne e iniziarono a lavarsi. Dopo poco, però, Ebe si ricordò di un impegno e lasciò sola Zenobia.

La donna cominciò a riflettere sulla sua nuova condizione. Adesso che aveva trovato un posto in cui dormire, avrebbe dovuto pensare a come mantenersi, ma arrovellarsi non sarebbe servito a nulla. Si immerse fino al collo nell’acqua bollente del calidarium e tentò di scacciare i cattivi pensieri.
«Tutto bene, mia cara?» fece una vecchia donna accanto a lei.

CONTINUA…

“Roma e congiure” (seconda parte) di Elena e Laura Canepa

Immagine di Couleur da Pixabay

Roma e congiure: Copyright © Elena Canepa e Laura Canepa – Tutti i diritti riservati

18 risposte a "“Roma e congiure” (prima parte) di Elena e Laura Canepa"

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